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Senza privacy: siamo in 1984. Controllati sempre.

Siamo controllati ad ogni respiro, ad ogni scelta. Non abbiamo più alcuna privacy, come in 1984 di Orwell. Viviamo in uno stato globale di verifica delle nostre azioni. Sanno tutto di noi. Cosa comperiamo, dove lo acquistiamo, come lo acquistiamo, con cosa lo paghiamo, se lo useremo noi o se lo regaleremo a qualcuno, in quale occasione. 

La nostra privacy viene violata costantemente; ad ogni nostra azione, un supercomputer inserisce nuovi dati. Facciamo un regalo a una persona e lo facciamo recapitare? Il cervello elettronico ingloba i nostri dati personali, quelli dell’abitazione da cui facciamo partire l’ordine, quelli della persona cui facciamo il regalo compreso eventualmente la sua data di compleanno, quella della nostra carta di credito. Con un nostro gesto di tenerezza abbiamo regalato informazioni a chi saprà cosa potrebbe piacere alla persona che riceve il regalo e tutta una serie di chiavi di lettura sul nostro stato sociale. 1984 di Orwell, non un racconto, ma la realtà oggi. 

Siamo controllati con la scusa di tutelare la privacy, ad ogni click di invio con cui regaliamo i dati sulla nostra capacità di spesa, sulla nostra carta di credito, sulle nostre banche di appoggio, sul nostro stile di vita (ad ogni carta di credito corrisponde un profilo: chi ha una Amex Platinum probabilmente per mille ragioni ha un tenore di vita ipoteticamente maggiore di una prepagata limitata a 500 euro), sugli orari in cui facciamo acquisti definendo così se si tratta di personale o lavoro. 

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1984, Orwell con il suo Grande Fratello di ha sbagliato per difetto. La privacy non esiste più neppure in casa dove siamo controllati ogni volta che accendiamo il computer e questo connette automaticamente la telecamera che ci inquadra mentre leggiamo (e traccia cosa leggiamo) o scriviamo. Bisognerebbe mettere uno scotch nero davanti alla telecamera anche quando è “teoricamente” spenta, ovvero quando non siamo in Zoom o in Teams. E forse neppure così saremmo al sicuro. 

Alexa, Siri, ogni comando vocale ci ascoltano ogni minuto, ogni secondo. Altro che privacy. Accendendo gli aiuti vocali al primo avvio, abbiamo strappato il velo sulla nostra privacy consentendo loro di analizzare il tono di voce, sapere se siamo preoccupati o felici, che tipo di luce abbiamo in casa, a quanti gradi amiamo dormire la notte in camera. Per non avere il fastidio di schiacciare un bottone abbiamo lobotomizzato le nostre abitudini consegnandole sotto forma di gestione dello stile di vita a un chip senza anima ma dalla cattiveria e dall’intelligenza disumana.

Adesso ci raccontano che ad ogni transazione dobbiamo inserire un doppio codice di controllo, ricevere un sms di conferma, cliccare su camini, camion, biciclette e ponti per confermare la nostra identità. Ufficialmente per la nostra sicurezza, per aumentare il livello di privacy delle transazioni; in realtà, come in 1984, per controllare ogni mossa, per verificare informazioni che hanno già ma di cui devono avere conferma per mantenere aggiornati i dati. Apparentemente per il nostro bene, giorno per giorno stiamo consegnando la nostra esistenza in diretta a un supercontrollo centrale di pochi che disporrà di noi. A piacere. 

Con la lotteria dei disperati (quella degli scontrini e delle carte di credito) il governo andrà a ficcanasare nelle tasche degli italiani dando un rimborso di cashback random, per estrazione. Un piccolo prezzo da pagare per sapere quale reale tenore di vita gli italiani abbiano. Con la scusa di ridare il 10% del pagato a chi ha un disperato bisogno anche solo di 1500 euro, toglierà il contante per tracciare ogni mossa di ogni persona con la scusa di combattere l’evasione fiscale dei suoi cittadini (ma consentendola a tutti i siti stranieri delle multinazionali che operano sul nostro territorio); non per nulla il capo del governo reale non è Conte ma Casalino, uno che nella casa del Grande Fratello ha fatto l’università della vita. 

Siamo controllati come e peggio di 1984 di Orwell. Siamo in uno stato globale di regime che ha compreso molto bene che oggi non servono cannoni e bombe per avere il controllo di una nazione, ma informazioni, tracciature. Abbiamo pensato che Internet ci avrebbe risolto ogni problema senza renderci conto che delegare a una macchina la gestione della nostra vita ci avrebbe privato del bene supremo: la nostra libertà. E oggi non siamo più schiavi di un dittatore che si può abbattere con un colpo di fucile, ma di una macchina che non è più nemmeno in un luogo fisico, le cui informazioni volano sul cloud e si moltiplicano per non essere cancellabili; abbiamo in casa una smart Tv che legge la nostra posta, guarda le nostre foto sul cellulare. 

Triste futuro. Senza privacy non c’è libertà, non c’è più pensiero ma una storia narrata senza neppure doverla scrivere e raccontare perché è diventato un gesto automatico di vita quotidiana. Non ci hanno fatto accorgere che hanno rubato la nostra vita facendoci credere che la miglioravano. Forse un blackout generale, una collisione informatica mondiale, sarà l’unica salvezza. Chi saprà sopravvivere nelle caverne poi penserà a creare un mondo migliore. 

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